Premessa

PREMESSA

 

“Non si scrive per dire qualcosa,

si scrive perché si ha qualcosa da dire.”

– Francis Scott Fitzgerald –

 

Bene. Ma io cosa ho da dire?

 

Secondo il parere del mio amico Fulvio – titolare di una libreria e, dunque, esperto di “scritture” – qualcosa da dire io la avrei.

Basterebbe – sempre secondo lui – raccontare particolari ricordi di quella che fu la mia vita di mare prima che entrassi a far parte del corpo delle Capitanerie di Porto.

 

E non solo…

 

Caro Fulvio, hai ragione! Ma… per chi dovrei scrivere?

Per tutti! Per amici, parenti, eventuali lettori sconosciuti… (pochissimi, lo interrompo io) e per te stesso!

Con la scrittura, la nostra esperienza di vita diventa patrimonio di tutti: si suscitano emozioni, si riportano alla mente episodi dimenticati, si raccontano i propri sogni.

Ma, cosa sono i ricordi? Rifletto a voce alta. Forse una visione parziale della realtà, qualcosa che ci è accaduto e che non ci siamo – allora – potuti soffermare ad analizzare; una verità che non abbiamo fatto in tempo a capitalizzare interamente, perché il tempo già ci portava oltre, ad altre cose, ad altra vita.

Certo! Un rompicapo che la scrittura aiuta – tessera a tessera – a ricomporre!

 

Va bene, Fulvio, mi hai convinto.

Voglio iniziare i miei racconti narrando delle origini di mio padre: una vicenda intorno alla quale a tutt’oggi permangono degli interrogativi che non hanno ricevuto risposta.

La mia immaginazione non ha potuto altro, in questi anni, che legare tra loro i ricordi vaghi e le scarne notizie che mi giungevano, creando dentro di me suggestioni e convincimenti forse distanti dalla realtà, ma che continuo a ritenere una versione della storia – se non probabile – almeno possibile.

Renderla attraverso una narrazione dà ad essa un principio di realtà.

La mia realtà.

In mancanza di dati storici certi, non è infatti la narrazione immaginaria, per definizione, il luogo del possibile?

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